giovedì 30 aprile 2009

Osservare, documentare, riflettere

di Piero Rovigatti
Una delle considerazioni che possono e forse devono essere svolte a partire dai tragici fatti del terremoto abruzzese, è quella relativa all’urgenza, probabilmente oggi maggiore che in passato, di un’osservazione territoriale dei fenomeni in atto, anche in relazione ad una condizione emergenziale che in realtà è antecedente ai fenomeni sismici più recenti. Se è vero che buona parte del territorio abruzzese (e italiano) è gravato da condizioni palesi di rischio sismico, e che dunque l’evento recente è solo la tragica conferma di un dato noto ed oggettivo, occorre anche riflettere, in Abruzzo così come in tante altre parti del nostro paese, sulla compresenza di altre condizioni di rischio, a cominciare ad esempio da quelle di natura idrogeologica, che spesso si aggiungono e si sovrappongono a quelle (si veda in questi giorni l’emergenza del fiume Vomano, originata dai recenti imprevisti fenomeni metereologici). A dimostrazione di una generale e pervasiva situazione di vulnerabilità territoriale, su cui vertono molte cause, che non trovano qui spazio di analisi, e che invece meriterebbero di essere indagate in parallelo, cominciando ad esempio da quelle di natura ambientale. Convivere con l’incertezza, col rischio e spesso con l’emergenza andrebbe assunta, insomma, come condizione normale di molte parti del nostro paese, evitando di scoprirne e di piangerne le conseguenze più dure e drammatiche solo in occasione dei ricorrenti, se non ciclici, eventi calamitosi. L’emergenza del terremoto in Abruzzo ha in questi ultimi giorni attivato un forte dibattito, anche tra gli addetti ai lavori, sulle modalità più efficaci delle ricostruzione, all’interno di una contrapposizione tra conservazione e nuova costruzione anch’essa ricorrente, se non rituale. La riflessione sulle cause, e sulla palese vulnerabilità dei nostri territori, pur presente, anche come comprensibile e necessaria occasione di contrapposizione politica, è stata presente nei primi giorni del dramma, ed è via via scemata nell’evolversi, pure comprensibile e necessaria, sul “che fare” per alleviare le condizioni delle popolazioni colpite e per prospettare loro futuri possibili di minore disagio, spesso giocando su un’immediatezza dell’azione che spesso si scontra su condizioni e necessità oggettive di maggior tempo di analisi e di decisione. I tempi del terremoto dovrebbero essere anche quelli dell’osservazione – possibilmente critica e scientificamente fondata – su cosa è realmente successo, per poter documentare con condizione di causa, e soprattutto per riflettere anche al fine di orientare le azioni e le politiche di intervento verso condizioni migliori di sicurezza globale. Una riflessione è stata anche avviata, ad un alto livello scientifico, ed è tuttora in corso, sulla natura tecnico edilizia dei fenomeni (si veda ad esempio all’interno del blog l’intervento iniziale di Enrico Spacone ). Manca, credo, tuttora, una osservazione territoriale di quanto è successo, e anche di cosa sta succedendo ora, che possa anche fare da sfondo alle ipotesi e alle congetture su cosa è destinato ad avvenire, nei futuri prossimi e venturi dei territori del sisma. Difficile, anche nonostante i molti strumenti rapidamente messi a disposizione dai siti di descrizione territoriale (portale cartografico italiano, google maps, eccetera) farsi ancora un’idea dell’estensione geografica dell’evento, per non parlare delle dinamiche messe in atto, già ora, per le condizioni di vita materiali delle popolazioni colpite, di cui è ancora difficile percepire la dimensione demografica (60.000, 100.000, oltre?), ancor meno i ritmi di vita e le condizioni di relazione sociale, abitativa, di lavoro (le famiglie sfollate sul litorale, gli universitari dell’Aquila dispersi chissà dove, i lavoratori delle fabbriche già colpite dalla crisi economica in attesa di chissà quale futuro …), se non andando direttamente sul posto, esperienza fino ad ora limitata – e forse giustamente – alle unità strutturate di pronto intervento, coordinate dalla Protezione Civile.
Prof.  Piero Rovigatti

1 commento:

  1. Da tutto ciò, al momento attuale, nasce appena lo spunto per la traccia di un lavoro da fare, su base collettiva, individuando nelle Università, nelle facoltà di Architettura e di Ingegneria della nostra regione, e in particolare nella nostra facoltà di Architettura di Pescara, la sede forse naturale di un osservatorio di quello che è avvenuto, sta avvenendo, potrà avvenire, all’interno di un territorio vasto, ancora di incerta definizione, caratterizzato da un centro (un epicentro) attorno a cui esistono luoghi già colpiti dalla sciagura, altri in stato di allerta (forse anche immotivata), altri dove l’assenza di prevenzione e di strumenti efficaci di prevenzione dei rischi già costituiscono – Dio non voglia – la condizione ideale per il ripetersi tragico di storie e tragedie già viste. Quanti sono i comuni abruzzesi dotati di Piani recenti di protezione civile, ad onta di una normativa che ne attesta l’obbligo; quanti gli edifici strategici, e tra questi soprattutto le scuole, protetti dal rischio di tradursi, alla prima scossa superiore al quinto grado della scala Richter (una soglia, è stato detto, dove in molti paesi sismici del mondo nessuno scende di casa, nemmeno per prendere un caffè) in nuovi San Giuliano di Puglia, il comune molisano dove nel 2002 perirono oltre 20 bambini per il crollo di una scuola insicura?

    L’idea potrebbe essere proprio quella di costruire, a partire dalle nostre disponibilità e capacità informatiche di facoltà, un sito web, magari nella logica WEB 2.0 – è la filosofia che tende ad innovare l'uso della rete come strumento di comunicazione aperto e interattivo – che si offra come strumento di osservazione, documentazione e riflessione sui temi della messa in sicurezza territoriale, secondo una logica integrata, che accompagni la raccolta delle informazioni alla scala edilizia – il danno o la vulnerabilità sismica delle singole costruzioni, a partire naturalmente da quelle già definite come strategiche – ad altre di natura storica, geografica, territoriale. Alcuni esempi di come informazioni di dettaglio sugli edifici possano essere resi facilmente disponibili attraverso portali di descrizione geografica sono già disponibili in rete, come nel caso del servizio svolto dal quotidiano Il centro in relazione alla classificazione delle costruzioni a rischio nella città aquilana svolto dalla Regione Abruzzo nel 2006, e purtroppo mai adoperato negli anni seguenti (disponibile alla pagina:
    http://ilcentro.gelocal.it/dettaglio/laquila-ecco-la-lista-dei-crolli-annunciati-uno-studio-del-2006:-137-palazzi-a-rischio/1625527/2?edizione=EdRegionale )

    Un sito, dunque, dove raccogliere dati e informazioni sui danni, ma anche sugli effetti del sisma aquilano (effetti economici, sociali, culturali, territoriali), e in prospettiva anche degli strumenti di prevenzione del rischio e di gestione delle emergenze (piani di protezione civile, ad esempio, ma anche studi di dettaglio sulle condizioni di rischio degli edifici strategici (scuole, soprattutto).
    Potrebbe essere ancora l’ipotesi su cui far convergere il lavoro di un piccolo gruppo di facoltà, di alcuni volenterosi studenti (non solo pescaresi) e in prospettiva anche di professionisti di buona volontà, in primo luogo gli iscritti agli Ordini della Regione, ma anche esterni. Tutti quelli che si sono dimostrati disponibili a partire dai primi giorni del sisma, e che sono stati tagliati fuori, forse anche giustamente, dalla gestione centralizzata della Protezione Civile, ma che costituiscono ancora una valida risorsa volontaria da utilizzare, magari proprio per un’azione preventiva, del sisma prossimo venturo.

    Un’occasione per catalogare dati, immagini, descrizioni, esperienze, progetti, piani, studi, programmi, utili anche a meglio indirizzare un programma di ricostruzione e di rivitalizzazione territoriale che forse guadagnerebbe in efficacia se fondato un patrimonio di conoscenze comuni e condivise.

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