sabato 25 aprile 2009

Case nuove in cinque mesi: saranno il nuovo Campus

Il Presidente del Consiglio, in un’intervista riportata da Repubblica.it del 24 aprile, ha dichiarato di aver già individuato 15 aree dove intervenire realizzando piastre antisismiche dotate di dispositivi di isolamento caratterizzati da elevata deformabilità su cui costruire le nuove case (il "Piano C.A.S.E." vedi post precedente). Il costo dovrebbe essere tra 500 e 700 milioni. “La sfida  - prosegue Berlusconi - è che vogliamo costruirle prima che arrivi il freddo per ospitare gli sfollati nel tempo record di 5 mesi. Quando poi ogni famiglia avrà completato la ricostruzione della propria casa - ha aggiunto il premier – questi nuovi alloggi antisismici potranno essere occupati da giovani coppie o da studenti universitari. Le case saranno progettate con la logica del campus. Per il primo periodo saranno adattate per le famiglie terremotate, ma in un secondo tempo diventeranno residenze universitarie capaci di attirare a L’Aquila studenti da tutto il mondo”.

4 commenti:

  1. Maria Cristina Forlani27 aprile 2009 alle ore 19:37

    La proposta del progetto c.a.s.e. è sicuramente encomiabile rispetto alle situazioni che finora sono state praticate, ma non si possono non condividere i dubbi evidenziati dai molti colleghi soprattutto in ordine al fatto che le nuove costruzioni nasceranno senza la sufficiente valutazione degli esiti futuri della loro collocazione e definizione. A quanto già detto, però, vorrei aggiungere una riflessione: esiste un ulteriore problema che mi sembra non sia finora emerso: le costruzioni proposte vengono identificate come provvisorie(e questo è già difficile da credere), da destinare (infatti), una volta sanate e ricostruite le abitazioni interessate dal sisma, ad alloggi per studenti. Una provvisorietà, dunque, relativa alla destinazione d’uso e non al sistema! Ma se questo sarà, forse, possibile per L’Aquila, mi sembra molto improbabile che per tutti i piccoli centri dell’intorno, da Onna, Paganica, Fossa, S. Gregorio, fino a S. Pio e altri, una volta costruite tali unità abitative, sia possibile destinarle ad altro! Sarà più facile che i residenti non tornino più nei vecchi borghi che, a questo punto, senza alcuna “pressione” ed effettiva “necessità”, difficilmente saranno ricostruiti. Dobbiamo allora aspettarci che si inneschi veramente il processo per una miriade di piccole new town a corona de L’Aquila piuttosto che rigenerare quelle “old town” che formano il nostro particolare e unico tessuto culturale? E quale sviluppo si deve aspettare quel territorio dopo che saranno stati messi in crisi parecchi dei settori portanti della propria economia, l’università, il turismo, le P.M.I. locali? Non sarebbe più opportuno cercare i modi, dal basso e dall’interno, per suscitare processi produttivi appropriati e ricostruire un orgoglio e un’appartenenza, per essere “soggetti” nel definire il proprio futuro? I processi di low-tech, che possono configurarsi nell’immediato e per l’urgenza, potranno rilevarsi in seguito come supporto per una riqualificazione produttiva nell’ottica della sostenibilità; cosa facilmente verificabile, ad esempio, nello sviluppo del mercato dei prodotti edilizi nel nord Europa (vedi convergenza tra industria e ambiente con i molti esempi inglesi e tedeschi. Occorre quindi, a mio avviso, far si che gli “aiuti” tendano a favorire la ripresa attraverso scambi, formazione e informazione su possibili modi di affrontare il “dopo” (e in questo caso mi riferisco al solo campo dell’edilizia di cui ho più competenza e non risolvere, sia pure egregiamente, un problema portando innovazione estranea e sconosciuta che, invece di innescare un nuovo circuito virtuoso, più facilmente produrrà dipendenza economica e culturale nello specifico campo.
    Prof. Maria Cristina Forlani

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  2. Mi pare che il Presidente del Consiglio, tra ieri ed oggi, abbia affinato il tiro. Effettivamente la proposta alternativa, ed innovativa, dell'Eucentre porta a costruire subito delle abitazioni che non sono delle baracche (e quind maggiore comfort) ma che sono proprio delle abitazioni (e quindi non possono essere smantellate alla fine). Il sistema è noto dal punto di vista tecnico (anche se dei possibili sistemi di isolamento alla base si sceglie quello su sfere e non su gomma, sistema il primo che non mi pare esente da critiche) e resta da chiarirne la compatibilità economica. L'idea appare interessante perchè prevede la realizzazione di piastre di fondazione comuni e sovrastrutture che possono essere delle tipologie più disparate. Quindi grande flessibilità e, soprattutto, possibilità di far lavorare più imprese differenti. Con minori rischi di sprecare soldi (più imprese, più alternative, maggiore concorrenza, minori costi). Questa è la prima fase. Ora, e qui dobbiamo dare il nostro contributo, si deve incominciare a pensare a come ricostruire il patrimonio danneggiato e, soprattutto, a come mettere in sicurezza quella parte del patrimonio che è danneggiata in modo minore ma che non è adeguata ad un terremoto più impegnativo. Questo sarà il compito su cui una Facoltà di Architettura potrà dare il suo contributo, soprattutto una Facoltà di Architettura come la nostra, dove fortunatamente le competenze sismiche si sono dimostrate apprezzabili, ed apprezzate. Quindi ben venga questo blog ma, soprattutto, non fermiamo il dibattito tra di noi.
    prof.Samuele Biondi

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  3. Piero Rovigatti, DART Ud'A1 maggio 2009 alle ore 10:00

    Sono totalemene d'accordo con le preoccupazioni di Cristina Forlani. Vorrei aggiungere il fatto che ancoa nessuno esprime dubbi su una politca di annunci, a cui non corrisponde mai una indicazione di dettaglio, su cui formare una opione, una critica (naturalemnte costruttiva!)o anche un banale suggerimento. Possibile che a nessuno venga in mente di chiedere dove il Presidente del Consiglio ha identificato le 15 aree, o almeno le procedure e i criteri che hanno guidato questa scelta? Tutto ciò è aggravato dal fatto che tutte le scelte del periodo emergenziale sono state fatte, finora, senza coinvolgere i sistemi locali (ammninistrazioni, comunità locali, stake holder, associazioni, cittadini, professionisti, università). Se tutto ciò è (secondo me solo in parte) comprensibile nella fase di prima emergenza, non lo è del tutto quando si compiono scelte che sono destinate a pesare sugli assetti futuri e sui comportamenti insediativi delle popolaioni, principale soggetto della ricostruzione, come molto opportunamente ci ricorda Cristima. Il mio appello ad un atteggiamento maggiormente critico, meno celebrativo e "azionista" di quello prevalente, anche in larga parte della comunità scientifica, e la proposta conseguente di un "Osservatorio della sicurezza territoriale", contenuto in questo blog, cerca di andare proprio in questa direzione.

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  4. vorrei rispondere al quesito posto dal professor Rovigatti circa la localizzazione dei siti che sono stati scelti per la collocazione delle abitazioni temporanee, da alcuni miei amici residenti nei comuni poco fuori L'Aquila, sono venuta a conoscenza che i luoghi localizzati sono stati individuati sui terreni comunali, posti a disposizione dei vari sindaci; anche la popolazione comunque ha espresso la propria opinione in alcune riunioni cittadine nei vari campi,è vero l'università può aiutare, proporre nuove idee, ma non nella fase iniziale, il notro contributo è successivo.
    Da quel che ho potuto constatare di persona la situazione della prima emergenza è stata eccellente, quel che auspico e che tutti questi bei discorsi non vadano in fumo, non siano solo parole dette per esprimere un'opinione, ma che realmente si muova qualcosa, poichè come ha già sottolineato il Prof. Spacone, risistemare le tamponature delle numerevoli abitazioni danneggiate, potrebbe abbassare enormemente il numero delle famiglie nelle tende, ma anche qui,si parla di interventi eseguibili successivamente alla conclusione delle verifiche di agibilità.

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